Cittanova

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Dell’antico toponimo Aemonia rimaneva il ricordo nel titolo della sede vescovile, mentre il nome nuovo compare al tempo di Giustiniano nella forma Neapolis, quindi Civitas Nova, Zidanuova, Citanoua nelle forme venete e Cittanova in italiano
(Da: “Itinerari istriani – I vol.” di Pietro Parentin)

Ritornare con uno spirito diverso, non per ricordare il vissuto, ma per far cogliere a qualcuno angoli e particolarità di una città ricca di storia e testimonianze del passato.

Oggi le strade che portano alla cittadina provenendo da Buie, Umago e Parenzo si incontrano al nuovo incrocio munito di semaforo che segna l’ingresso nell’abitato. Da qui inizia il “Viale dei Gelsi” o strada del “Laco” che porta verso il centro. Sul lato sud della strada ci sono le nuove scuole e tante abitazioni che si estendono attorno al vecchio cimitero di Sant’Agata la cui chiesa, a tre navate con abside, è del IX secolo; oggi restaurata, la chiesa merita una visita.

Sul lato nord della via si vedono case a schiera, negozi ed il cotonificio che danno al luogo un aspetto diverso dal passato; qui infatti un tempo si coglieva la vicinanza del mare, trovandosi su un primo basso istmo tra la Valle del Pra e quella di Sant’Antonio.

Procedendo merita lasciare la macchina nei pressi della “Pesa” ove si diramano le due vie che entrano in città, anzi, trattandosi di sensi unici, l’entrata è possibile solo per la via che immette nel Mandracchio.

La visita ha inizio dall’altra via, la più antica, ed anzi fino al 1905 l’unica strada d’accesso alla città. Partiamo dunque dal Borgo del Cristo che si trova sulla sinistra a lato della chiesa della Madonna del Popolo, detta comunemente del Cristo o del Carmine. Il toponimo del Borgo fuori le Porte ricorda un’antica chiesetta ove la tradizione pone il luogo del martirio di San Pelagio, protettore della città. La chiesa della Madonna, oggi in cattive condizioni e bisognevole di restauro, è del 1494. L’annesso convento che fu prima dei domenicani e poi del Terzo ordine francescano si trovava quasi sulla riva della valle del Pantan, così chiamata per il fondo melmoso ed in un tempo lontano sede delle saline.

Il terreno in questa zona antistante le poderose mura, ancora visibili nel tratto centrale, era tenuto a prato onde non dare copertura a chi si avvicinava ad esse. Là dove la strada è leggermente in salita si aprivano le Porte di Terra che erano sovrastate dalla chiesa del Santissimo Salvatore.

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Le Porte vennero demolite in epoca napoleonica, ma sia a sud, nascoste in parte dalle case, che a nord di esse restano tratti imponenti della cinta muraria che in questa zona, delicata perché attaccabile con le macchine belliche, sono di altezza ragguardevole. Sulla destra, nei pressi delle antiche Porte, si scorge ancora il basamento della torre mentre della Batteria che si trovava poco più innanzi non c’è più traccia essendo stata demolita per dar posto alle case.

Entrati in città ci troviamo nella Contrada de le Porte, il corso cittadino, corrispondente al decumano romano, da cui si diramano perpendicolarmente le vie parallele a quello che era il Cardo Massimo, probabili segni questi del tracciato viario romano. Neapolis, costruita o ricostruita in epoca bizantina, non poteva che avere un’impronta urbanistica romana. La città allora era sede del fisco e la flotta di Bisanzio e di Ravenna sostava spesso a Porto Quieto, motivi questi che davano al luogo una certa vitalità sotto il profilo economico.

Ritornando al nostro percorso la Contrada de Le Porte ci conduce alla Piazza Grande dominata dal poderoso campanile, dalla parte absidale del duomo, dal Municipio e da altre costruzioni tra cui si distingue, purtroppo, un brutto caseggiato posto tra il duomo e la Contrada Grande (il Cardo Massimo) sorto al posto del demolito storico Palazzo Rigo.

Portandoci oltre il campanile arriviamo in una zona alberata; quella antistante la chiesa occupa il posto del demolito “Vescovà” che è ricordato dal toponimo; quella a sinistra, con i suoi bei pini marittimi, è il giardino sorto dove c’era il Brolo del vescovo. Le mura, private della merlatura ghibellina ed abbassate, formano uno splendido belvedere dove fa spicco la “Rotonda” che è ciò che rimane del Torrione del Vescovà, uno dei cinque torrioni della cinta.

La facciata del duomo come si presenta oggi è quella uscita dai restauri degli anni Trenta, la precedente era in pietra ed era stata costruita dopo l’abbattimento del Palazzo vescovile che era addossato alla facciata stessa. La posizione dell’antico Battistero ottagonale dedicato a San Giovanni Battista, che era collegato da un portico alla entrata principale, viene da alcuni posta nei pressi del campanile elevato nel 1883, da altri ipotizzata davanti al duomo come a Parenzo; solo degli scavi potrebbero far luce a riguardo mancando altre fonti certe. Si sa che il Battistero ottagonale, demolito nella seconda metà del Settecento al tempo del vescovo Stratico, aveva all’interno una vasca esagonale sovrastata da un ciborio, di cui rimangono dei reperti, di epoca carolingia.

Il duomo, a tre navate, è il monumento più antico della città ed una delle chiese più vecchie dell’Istria. I muri, come dimostrano le antiche finestre venute alla luce sul lato nord e nella cripta, sono quelli originali che secondo alcuni risalgono al VI secolo, secondo altri invece sono d’epoca carolingia.

Nel duomo, più volte rimaneggiato con trasformazioni profonde, la sezione più significativa è rappresentata dalla parte absidale. Il catino dell’abside inscritta sovrasta il coro che è costruito sopra una cripta simile a quella della basilica di Aquileia. Fino alla fine del Settecento l’altare maggiore, piccolo e sovrastato da tiburio, si trovava nell’attuale coro, cui si accedeva per una scalinata centrale mentre i due ingressi alla cripta erano laterali e collocati ove oggi ci sono le scalinate, come emerso dai recenti ritrovamenti. L’attuale imponente altare maggiore è del Settecento e fu voluto dal vescovo Bozzatini. Sotto di esso oggi vi è il nuovo ingresso alla cripta. Questa, normalmente chiusa, è visibile dai due finestroni posti ai lati dell’altare (si può accendere la luce dall’esterno, sotto l’altare).

Durante recenti scavi condotti dalla Sovrintendenza di Pola, sotto il demolito altare della cripta, è venuta alla luce la fossa di una tomba la cui lastra di copertura, recante all’interno una croce e la scritta Pelagius, faceva parte della pavimentazione. Tale lastra lapidea ora è addossata alla parete dalla parte destra guardando dal finestrone. Nella cripta, su quattro colonne in marmo greco aventi base su pietre di risulta con iscrizioni, si trova il sarcofago fatto costruire dal vescovo Adamo nel 1046. Il sarcofago è risultato vuoto giacché nel saccheggio subito dalla città e dalla cattedrale al tempo della Guerra di Chioggia i Genovesi si portarono via i corpi dei santi Pelagio e Massimo, protettori della città, che ora sono custoditi nella cappella dei Doria, chiesa abbaziale di San Matteo in Genova.

La collegiata di Cittanova, cattedrale sino al 1831, merita un’attenta visita. Oltre alla cripta vanno segnalati il coro ed i quattro altari marmorei posti nelle cappelle delle navate laterali. In fianco all’altare dei santi protettori rimangono tratti delle antiche pitture. Le pale d’altare sono opere di scuola veneta, mentre la statua lignea della Madonna del Rosario è detta di Nogarè perché, antecedentemente, si trovava nella chiesetta santuario di Nogaredo, oggi cimitero di Verteneglio.

Per poter visitare la cripta e il piccolo nucleo di un auspicato museo occorre rivolgersi alla vicina canonica. Usciti sulla Piazza giriamo a sinistra e percorriamo Contrada Granda; da notare che è perpendicolare alla Contrada de le Porte che abbiamo già percorso nonché la sua direzione sud-nord tipica del Cardo romano. Tra gli edifici meritano la nostra attenzione Palazzo Urizio e, oltre l’androna Sant’Andrea, dove in antico sorgeva la chiesa dedicata all’apostolo protettore dei pescatori che fungeva anche da cappella civica trovandosi nei pressi del Palazzo Pretorio, la bella casa Zamarin, uno dei pochi esempi rimasti della antica tipologia degli edifici nobili. Entrambi gli edifici si trovano sulla sinistra. Dopo questa casa prendiamo, sempre a sinistra, la via della Pescheria dalla quale passiamo in Contrada del Porto; giungiamo quindi al Piazzale del Porto, sul quale ci affacciamo attraverso il varco che ha sostituito l’antica Porta a Marina tolta da qui e collocata, all’inizio dell’Ottocento, presso la Loggia del Belvedere.

Rientrati in città ripercorriamo per un centinaio di metri la Contrada del Porto notando, sulla destra, la scalinata in pietra che dà accesso a casa Zullich (Scala de piera), indi proseguiamo a sinistra per via del Pozzetto ed entriamo nella piazzetta del Pozzetto, luogo di mercato che deve il suo nome ad un’antica presenza d’acqua. Una piccola androna verso nord dava accesso, in antico, alla chiesa di San Marco da tempo demolita. Da notarsi, sulla casa posta sul lato est, gli elementi architettonici venuti alla luce con i restauri dimostranti l’antichità dei muri dell’edificio.

Proseguendo verso sud si incrocia via delle Scuole, oggi via del Mulino, ove sorgeva il Palazzo Pretorio di cui ora, nel giardino, rimane la testimonianza in una bella vera di pozzo. Qui, come in tanti altri luoghi che percorriamo, abbattuti i muri degli orti trasformati in giardinetti poco curati, i percorsi delle Contrade sono mutati.

Prendiamo la strada che va verso sud est, chiamata via delle Torri perché edifici di questa caratteristica erano presenti sulla sinistra nel primo blocco di case, al cui interno si notano ancora le basi delle loro strutture, mentre più avanti si è a ridosso delle Mura di Terra dove sorgevano la Batteria e la Torre delle Porte.

Oltrepassata Contrada de le Porte, che abbiamo già percorso, ci inoltriamo in Contrada Drio i Torci. Il toponimo ovviamente non ha bisogno di spiegazioni. In questa contrada osserviamo sulla sinistra la parte interna delle Mura di terra, non ben visibili sul lato esterno, e più avanti le due Porte minori e di epoca posteriore alla costruzione della Cinta muraria, dette del Portisiol e dei Torceri che danno su Porto Quieto. La prima era ad uso dei marittimi che avevano le navi in rada, la seconda era una porta di servizio per i Torchi. Delle due Contrade perpendicolari alla Contrada delle Porte, via dell’Ospedale e via dei Pestrini, toponimi indicanti attività in esse presenti, merita notare, in quest’ultima, una palla di cannone infissa nella parete di una delle case poste a sinistra. È una testimonianza del cannoneggiamento subito da Cittanova da parte dei Francesi. Alla fine della Contrada Drio i Torci troviamo la Loggia del Belvedere, oggi deturpata da restauri indecorosi, da cui si ha una magnifica vista. Da qui si può far ritorno in Piazza per via del Belvedere od uscire sul lungomare attraverso la Porta del Belvedere, l’antica Porta a Marina qui collocata alla fine dell’Ottocento. I cardini esterni delle antiche porte palesano la disposizione posta in essere alla rovescia.

Percorriamo all’esterno la nuova passeggiata verso est e notiamo l’imponenza delle Mura, le Porte minori ed i resti del Torrione dei Torceri; in prossimità del “Speron” (il tratto di Mura che si protendeva nel mare per impedire l’accerchiamento) facciamo ritorno verso la Punta del Vescovà ove andiamo a percorrere la bella diga costruita dall’Italia a difesa del porto. Dalla diga, passando sotto le Mura del Vescovà e la Rotonda, ci portiamo al Porto e da qui, notato l’imponente Torrione del Porto, il meglio conservato dei cinque che facevano parte della Cinta, attraverso la “Porporela” (toponimo che indica l’antico sito destinato alle barche da pesca) arriviamo al Mandracchio. Questo porto interno, costruito tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, occupa il posto ove in antico c’era la valle chiusa del Pantan e le Saline. Le basse Mura, visibili per un breve tratto, alla cui base arrivava il mare, ci rivelano che da questo lato i Cittanovesi non si aspettavano attacchi in quanto protetti da incursioni sia dalla parte del mare che da quella di terra dalla natura fangosa del luogo. Recenti lavori hanno messo in luce la parte retrostante delle mura e la base del quinto Torrione della Cinta di cui si era quasi persa la memoria.

È questo un luogo emblematico di come si dovrebbe segnare il percorso delle Mura nei tratti in cui queste sono state abbattute.

Dal Mandracchio, passando davanti Le Porte, proseguiamo per la Rivarella, una parte oggi rivalutata grazie all’apporto di valuta dovuta al turismo e ad interventi nell’edilizia fatti con criterio, cosa mancata invece negli anni passati e di cui abbiamo brutti esempi in piazza ed al Vescovà, ove sorge un albergo oggi quasi fatiscente che è un vero pugno nell’occhio.

Non mi sono soffermato a guardare la casa natia, né il luogo ove c’era lo Squero sede dei miei giochi felici, limitandomi a guidare il mio interlocutore tra Contrade e case, chiese e Mura che parlano della vita di un tempo. La vita di oggi infatti non si è ancora compenetrata nell’ambiente, non è ancora un tutt’uno con esso, ma verrà il giorno nel quale ciò si avvererà come è già avvenuto in passato, giacché la città ha conosciuto anche in tempi remoti abbandoni per calamità sebbene l’ultimo, quello dell’esodo, sia stato tra tutti il più straziante.

Questa volta il mio animo, di solito turbato da ricordi, lo trovo ben rispecchiato in alcuni versi della poetessa piranese Annamaria Muiesan Gaspàri che ho trovato nel suo “Parindole”: “Sarà che ‘l mio Paese vero / no xe ‘sto qua / indove che son nata e ò vivesto / (che desso vardo dabòto sconossudo / come in cartolina o drio un tamiso), / ma quel che sorno drio sorno / ò fato suso nei me insoni / intéla mente / e xe a lu che me sento più tacada / lu che sento de più mio”.
Versi che esprimono il sentire intimo di quanti sono stati strappati dal nido e che gli estranei non sempre possono capire.

Galleria immagini:

“Peregrinus”

Tratto da “Itinerari istriani” di Pietro Parentin

Nei viaggi del “Peregrinus” - pubblicati a puntate su “La Nuova Voce Giuliana”

e raccolti nei due volumi di “Itinerari istriani” - sono inoltre descritte le località e i dintorni di:

Abbazia, Albona, Antignana, Barbana, Becca, Bersezio, Bogliuno, Borrato, Brest, Briani, Brioni, Buie, Caisole, Canfanaro, Capodistria, Caroiba, Carsette, Casali Sumbaresi, Castagna, Castel Racizze, Castellier di Visinada, Castelnuovo, Castelvenere, Castelverde, Ceppi di Portole, Cerreto, Chersicla, Cherso, Cicceria, Cittanova, Collalto-Briz-Vergnacco, Colmo, comunità Ex alunni Padre Damiani, Corridicio, Costabona, Covedo, Daila, Dignano, Draguccio, Duecastelli, Fasana, Felicia, Fianona, Fiorini, Fontane, Foscolino, Gallesano, Gallignana, Gimino, Gradina, Grimalda, Grisignana, Isola d'Istria, Lanischie, Laurana, Levade, Lindaro, Lussingrande, Lussinpiccolo, Madonna del Carso, Marcenigla, Matterada, Medolino, Mlum, Mondellebotte, Momiano, Mompaderno, Moncalvo, Montona, Mormorano, Moschiena, Muggia, Neresine, Nesazio, Novacco di Montona, Novacco di Pisino, Occisla, Orsera, Ossero, Parenzo, Passo, Paugnano, Pedena, Petrovia, Piemonte, Pietrapelosa, Pinguente-Rozzo-Sovignacco, Pirano, Pisino, Pola, Portole, Portorose, Pregara, Promontore, Raccotole, Radini, Rovigno, Rozzo, Salise, Salvore, San Lorenzo d'Albona, San Lorenzo del Pasenatico, San Lorenzo di Daila, San Pietro dè Nembi, San Pietro di Madrasso, San Pietro in Selve, San Servolo, Sansego, Santa Domenica di Visinada, Sanvincenti, Sarezzo, Sbandati, Schitazza, Sicciole, Sissano, Socerga, Sovignacco, Stridone, Strugnano, Toppolo, Torre di Parenzo, Tribano, Truscolo, Umago, Valdarsa, Valle del Risano, Valle dell'Ospo, Valle d'Istria, Valmorasa, Verteneglio, Vetta, Villa Gardossi, Villa Padova, Villa Treviso, Villanova del Quieto, Villanova di Parenzo, Visignano, Visinada "Norma Cossetto", Zumasco.