Albona

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Da castelliere dei Liburni a città romana e veneta posta a baluardo dell’Istria
(Da: “Itinerari istriani – I vol.” di Pietro Parentin) 

Albona è un luogo che richiede una visita particolare, programmata appositamente, non una sosta di un itinerario che voglia raccogliere tutto il possibile. Va colta come città, ma anche nel contesto del suo ampio territorio che da essa prende nome. L’Albonese si stacca dall’Istria quasi a volere essere appartato, distinto, pur avendo con il resto della penisola peculiarità comuni. Il suo terreno carsico ha un andamento vario, tipico degli altopiani che si presentano con imponenza ai margini esterni ed offrono una dolce variazione di pianori e colline al loro interno. L’ampio territorio di Albona confina ad est ed a sud con il mare Adriatico, golfo del Quarnero; ad ovest il mare si insinua nel lungo Canale d’Arsia che poi prosegue, ora interrato dagli apporti alluvionali del fiume Arsia; verso nord la parte del territorio Albonese si erge sulla piana dell’Arsia. Noi raggiungiamo la cittadina da Barbana, località dalla quale abbiamo una prima ampia visione del territorio da visitare.
Scesi dal costone di Barbana attraversiamo il fiume Arsia presso la foce ed incominciamo a salire sull’altopiano di Albona percorrendo la valle del Carpano. È questo un territorio divenuto comune autonomo negli anni Trenta con il nome di Arsa dato alla nuova località mineraria. Più avanti incontriamo Albona, una città che ha conosciuto una notevole espansione a partire dagli anni Trenta. Lasciamo sulla sinistra la nuova Albona e proseguiamo verso la sella; qui, al bivio per Porto Albona o Rabaz, svoltiamo a destra per salire nella città antica, la più interessante sotto il profilo storico ed architettonico.
Meriterebbe lasciare qui la macchina e salire in città a piedi, ma accontentiamoci di una sosta per ammirare la chiesetta gotica dei santi Cosma e Damiano, conosciuta come S. Cosimo, ed il vicino monumento a Flacco Illirico, uno dei propugnatori del protestantesimo provenienti dalla nostra terra.

La costruzione, in corsi regolari di pietra, merita d’esser colta nella sua peculiarità. L’edificio sacro è del 1450 circa. Proseguendo troviamo (sulla sinistra, sotto il livello della strada) un’altra interessante chiesetta: è Santa Maria della Consolazione detta anche della Salute. La chiesa è del 1537, ma tale data segna solo il rifacimento di una chiesa preesistente più antica, sorta anch’essa sul luogo di una più antica ancora. La chiesa, preceduta da una bella loggia, oggi è adibita a sala di esposizione di arte sacra. Merita una visita sia la struttura antica che quanto in essa vi è esposto, in particolare sculture lignee e tele del pittore barocco Mareschi.

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La nuova città sull’isola ottiene anche un suo territorio, tra il Risano ed il Dragogna, nell’ambito di quella che era stata la colonia di Tergeste che si estendeva sino al Quieto ed acquisisce l’autonomia di municipio romano ed è sede vescovile. Sede questa che qui si è stabilita sicuramente sin dall’inizio, mentre per il municipio potrebbe trattarsi di uno spostamento dall’antica alla nuova città. Passando lungo la via di grande scorrimento sfugge quasi il ricordo dell’antica linea costiera, ma a rammentarcela ecco quanto rimane dello Stagnon, specchio acqueo rimasto a testimoniare quello ben più esteso del passato. Più oltre, dopo San Canziano, cimitero della città, del tratto di mare, poi ridotto a saline, oggi non c’è più neanche il ricordo. Capodistria è un tutt’uno con il suo territorio e le terre bonificate uniscono la città sull’isola alla sua espansione moderna che sale il colle di San Marco e penetra nella valle ai piedi delle colline.

Arrivo sin oltre Semedella, ma per entrare nella città preferisco la strada che percorre il tracciato del primo collegamento dell’isola con la terraferma, strada che correva tra le acque basse ed era ben difesa da un castello. Tra capannoni industriali e costruzioni varie mi avvicino al centro storico. Dove c’era il mare, poi le saline, io ricordavo un’ampia distesa erbosa dove era facile immaginare la conformazione di un tempo, oggi è diverso! In prossimità della città noto dei grandi parcheggi ed in uno di questi lascio il mio mezzo per avviami a piedi alla non lontana antica porta della Muda (il nome deriva da “muta” ovvero riscossione del dazio). Ho l’impressione che, lasciato alle spalle il terreno di colmata, troverò la città di un tempo con le sue case addossate le une sulle altre, le calli ed i palazzi di cui ho un vago ricordo.

La porta della Muda, con il suo ampio e maestoso arco, le lesene ed i simboli di Capodistria, è ben conservata nel suo splendore rinascimentale; costruita nel 1516 è opera dei Lombardi di Venezia. Da qui partiva il ponte di barche che portava a Castel Leone (demolito nel 1822), posto a mezza strada tra la città sull’isola e la terraferma. Oggi la porta, persa l’importanza di un tempo, permette l’accesso solenne alla piazza Da Ponte dominata dalla bella fontana, che nel suo aspetto ci ricorda i ponti di Venezia. Una volta in piazza, noto sulla destra la chiesa di San Basso detta anche del Crocefisso in Ponte, di cui spesso mi ha parlato un amico che lì prestava il servizio di chierichetto. È questa una chiesa abbastanza antica, sorta sul sito di un antico Ospizio e che doveva, vista la sua posizione, svolgere un servizio per i residenti fuori città.

Nella Capodistria di metà Novecento che abbiamo lasciato con l’esodo, le chiese officiate erano ancora diverse anche se non c’era più il gran numero di un tempo quando alle moltissime chiese s’aggiungevano conventi maschili e femminili che facevano della città un notevole centro religioso. La bella fontana che vediamo sul fondo della piazza, fatta costruire nel 1666 dal podestà Da Ponte al posto di una fontana precedente, merita d’essere guardata nei suoi particolari. Da notare che la fontana era alimentata con acqua proveniente dalla terraferma tramite delle tubature in legno. Fu usata dai capodistriani per il loro approvvigionamento idrico fino al 1898. Dietro la fontana, prendo la via a sinistra e mi inoltro in città.

La strada, subito dopo il bel palazzo Carli che si trova sulla destra, incrocia la Callegarìa, che conduce alla piazza principale passando sotto il palazzo Pretorio. È questa una calle molto tipica per la sua struttura, per i suoi negozi e le botteghe che la rendevano centro animato cittadino. Anche oggi, sebbene con scritta diversa, il toponimo è rimasto a ricordare un tipo di vita che è profondamente cambiato! Dove sono i calzolai (caligheri) da cui deriva sicuramente il toponimo? La via in salita merita, nonostante i cambiamenti intervenuti, d’esser percorsa con attenzione. Dopo un incrocio, sulla destra un’androna porta a palazzo Barbabianca (barocco del Seicento) , poco oltre, sulla sinistra, palazzo Orlandini del XVIII secolo, ma un po’ tutte le case, con il loro tipico aspetto, meritano la nostra attenzione.
Alla fine della via, oltrepassato il sotto portico sotto palazzo Pretorio, si è nella grande piazza, vero centro della vita cittadina per tanti secoli. La piazza è delimitata dalle più significative opere architettoniche della città ed è un vero gioiello, una delle migliori piazze d’Istria.

Il lato est è dominato dalla facciata del duomo che si presenta in stile gotico quattrocentesco nella parte inferiore ed in stile lombardesco del Cinquecento nella parte superiore. Questo, costruito sull’area di una precedente basilica romana costruita verso il 550 quando ebbe inizio la diocesi giustinopolitana, è uno dei più insigni monumenti dell’Istria. All’angolo sinistro della facciata si erge l’imponente campanile a base quadrata in blocchi di arenaria.

All’origine venne usato probabilmente con funzione diversa (torre di osservazione e di difesa) poi, munito di cella campanaria e cuspide, verso il 1660 prese l’aspetto attuale. Ho letto della gabbia in ferro che un tempo pendeva dalla torre per esporre alla berlina i preti scostumati, ma la mia attenzione è presa dal racconto di quanti, specie di notte, usavano la struttura quale palestra di roccia per addestrarsi alle scalate!

Dal campanile proseguo verso est e faccio il giro dell’imponente edificio del Duomo che da questa parte domina i grandi spazi del Brolo e della via che scende nella parte est della città. Aggiro l’abside, lascio alla destra palazzo Brutti e percorro la calle ove sorge il Battistero (la Rotonda del Carmine) chiesa che ricordo d’aver visitato con grande interesse al tempo del mio breve forzato soggiorno in città, poi ritorno in piazza ove ammiro, sul lato nord, la stupenda Loggia dove un tempo si amministrava la giustizia, ma che nei ricordi dei capodistriani che me ne parlavano era diventata un po’ il simbolo dei signori. Mi pare che in nessuna nostra città era viva come qui una profonda classificazione di ceti sociali! Non solo contadini, pescatori, artigiani, possidenti, nobili come altrove , ma distinzioni ancor più sottili anche all’interno di questi gruppi. I paolani, ad esempio, non erano come comunemente si crede i contadini, ma quelli tra questi che abitavano in città e facevano spola per raggiungere i campi, mentre quelli residenti in città che qui lavoravano i preziosi fazzoletti di terra erano detti ortolani, c’erano poi i cortivi (abitanti dei casolari) ed i contadini, abitanti dei villaggi circostanti per lo più sloveni.

Sul lato ovest, dirimpetto al Duomo, sorgono la Foresteria e l’Armeria in seguito sede del tribunale. Chiude la piazza, sul lato sud, l’imponente mole di palazzo Pretorio, un edificio composito ove i due torrioni laterali si uniscono nei loro stili gotico e lombardesco attraverso la merlatura ghibellina che a me ha sempre dato un sentore di casa ricordandomi le mura della mia città.

Rimango a lungo al centro della piazza ad ammirare, cercando di estraniarmi da rumori, suoni e parole che potrebbero rovinare l’incanto. (…) Infine entro nella cattedrale per una visita alla chiesa che ho conosciuto un tempo, durante giornate d’attesa angosciosa. Nella chiesa alla preghiera si alternano ricordi, specialmente quelli di persone rimaste sempre particolarmente legate a questo sacro luogo ed attraverso i loro racconti rivedo momenti di un’intensa vita di pietà, di fede e di attaccamento alla piccola patria. (…) Uscito dal Duomo potrei considerare finita la visita, ma la curiosità di vedere se riemerge nella mia mente qualche ricordo della Capodistria che ho conosciuto appena per qualche giorno da ragazzo mi sprona a fare un giretto per la città. Mi soffermo ad ammirare la Madonna in trono con il Bambino collocata sull’angolo della Loggia e penso alle tante edicole sacre che un tempo arricchivano le nostre case richiamando i passanti ad atti di devozione. Questa è intatta, salvata forse dal valore dell’arte, ma tante altre che fine hanno fatto?

Passo davanti alla Loggia e giro a sinistra, mi avvio verso il Belvedere passando per una strada che inizia all’angolo del Duomo. Qui, non distante dalla Rotonda del Carmine che si trova sulla calle che fiancheggia il Duomo, noto il bel palazzo Del Bello. Proseguendo arrivo ad un ampio piazzale. Procedendo a sinistra eccomi al Belvedere, il bel viale con vista mare. Sotto tutto è cambiato ed il nuovo porto di Capodistria si espande da qui verso il Risano. Sulla sinistra, al posto dell’imponente edificio delle carceri fatto costruire dall’Austria, dove un tempo c’erano il convento e la chiesa di San Domenico chiusi al tempo del governo francese, oggi ci sono grandi edifici moderni che rompono l’armonia delle costruzioni intorno. Solo alla fine del viale, quando devio verso il vecchio porto, mi assalgono i ricordi, ma non sono belli, perché qui era uno dei punti di passaggio del confine, di interminabili visite alla dogana, di cui conservo quasi un incubo. Qui si scendeva dal piroscafo, proveniente da Trieste, e dopo il passaggio al vaglio delle “drugarize” si andava a prendere la corriera per proseguire il viaggio verso casa. Anche nell’andata verso Trieste qualche volta avveniva il trasbordo, ma sono gli arrivi che ricordo di più.

Lascio la riva e mi inoltro in città. Qui sulla destra, ove si trova la colonna di Santa Giustina e nei cui pressi c’è la casa del Carpaccio, doveva esserci il luogo ove facevano le esposizioni. Di una di queste, a cui, bambino, fui portato con la mia classe, ho solo un vago ricordo. Proseguo verso il centro e passo davanti alla chiesa di San Nicolò che trovo chiusa. Non so se oggi sia ancora adibita a chiesa o ad altro. La Capodistria veneta, ricca di chiese e conventi, ha conosciuto due momenti di chiusure e dissacrazioni: al tempo di Napoleone ed in quello di Tito. Più avanti, sempre sulla sinistra noto palazzo Totto, sulla destra palazzo Tacco sede del museo. Tra le case tipicamente venete questo emergere di palazzi notevoli ci ricorda come in città vivessero molti nobili. Questi avevano feudi e proprietà un po’ dappertutto in Istria, ma la loro sede preferita era sempre quella cittadina.

Arrivo nuovamente in Piazza del Duomo e proseguo, passando sotto il campanile, per il Brolo, l’ampio spazio che si apre a sud est della cattedrale. Anche qui vi sono delle costruzioni interessanti che vanno, da quanto rimane dell’antico episcopio, alla chiesa di san Giacomo, al Fontego. Nel giardino alcune vere da pozzo di notevole interesse meritano un’occhiata.

Ritorno verso l’abside del Duomo ed ammiro ancora il bel Palazzo Brutti poi, prima di proseguire per Calle Eugenia verso est, entro in alcune calli sulla mia sinistra. Da queste parti c’era il seminario interdiocesano ove è stato aggredito il vescovo Mons. Santin e la Rotonda dell’Assunta o di S. Elio, antica chiesa rotonda, forse la più antica della città, che posso vedere solo dall’esterno.

Io cerco la casa ove trovai ospitalità, ma qui troppe cose sono cambiate e la mia memoria non m’è di grande aiuto, per cui ritorno alla grande Calle Eugenia così spesso ricordata dai capodistriani. Sul lato destro di questa il grande complesso dei conventi di San Francesco e di Santa Chiara ora sede dell’Archivio regionale. In epoca napoleonica i monasteri furono chiusi e le chiese sconsacrate e ridotte ad usi profani (palestra, fienile); sorte non diversa ebbero allora San Gregorio e San Domenico incorporata quest’ultima nel perimetro delle prigioni.

È davvero singolare la presenza di tanti conventi a Capodistria, nessuna altra località dell’Istria ne aveva tanti. Prima della soppressione del convento di San Francesco, appartenente ai conventuali che furono uniti con quelli di Pirano, la città, fatto piuttosto raro, aveva la contestuale presenza dei tre ordini francescani. Girando a destra infatti trovo la chiesa di Santa Marta, comunemente detta dei cappuccini, poco distante, al di là di Calle Eugenia la chiesa di Sant’Anna dei minori. Chiese ricche di tradizione di fede, ma anche di opere d’arte, specie Sant’Anna.

Ancora nella seconda metà dell’Ottocento, in una città che annoverava 7.580 abitanti oltre al capitolo di cinque canonici, quattro vicari corali e sei altri sacerdoti facenti capo alla cattedrale, vi erano un cappellano al Santo Crocefisso, due alle carceri e due sacerdoti all’Istituto Grisoni. Vi erano poi otto sacerdoti cappuccini affiancati da cinque chierici, due laici e cinque terziari, mentre i minori, appartenenti alla provincia Dalmata, contavano sette sacerdoti ed otto laici (Annuario delle unite diocesi di Trieste e Capodistria del 1872). Nel 1954 la popolazione ridotta a 4.000 abitanti poteva contare ancora su due sacerdoti, il canonico Mons. Giovanni Cosolo e il giovane vicario don Giovanni Gasperutti (Annuario del 1954). Anche i semplici numeri attestano la bufera che si è abbattuta sull’Istria colpendo con particolare furia il clero e riducendo l’attività religiosa al solo aspetto liturgico ed anche ciò con difficoltà. (…)

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“Peregrinus”

Tratto da “Itinerari istriani” di Pietro Parentin

Nei viaggi del “Peregrinus” - pubblicati a puntate su “La Nuova Voce Giuliana”

e raccolti nei due volumi di “Itinerari istriani” - sono inoltre descritte le località e i dintorni di:

Abbazia, Albona, Antignana, Barbana, Becca, Bersezio, Bogliuno, Borrato, Brest, Briani, Brioni, Buie, Caisole, Canfanaro, Capodistria, Caroiba, Carsette, Casali Sumbaresi, Castagna, Castel Racizze, Castellier di Visinada, Castelnuovo, Castelvenere, Castelverde, Ceppi di Portole, Cerreto, Chersicla, Cherso, Cicceria, Cittanova, Collalto-Briz-Vergnacco, Colmo, comunità Ex alunni Padre Damiani, Corridicio, Costabona, Covedo, Daila, Dignano, Draguccio, Duecastelli, Fasana, Felicia, Fianona, Fiorini, Fontane, Foscolino, Gallesano, Gallignana, Gimino, Gradina, Grimalda, Grisignana, Isola d'Istria, Lanischie, Laurana, Levade, Lindaro, Lussingrande, Lussinpiccolo, Madonna del Carso, Marcenigla, Matterada, Medolino, Mlum, Mondellebotte, Momiano, Mompaderno, Moncalvo, Montona, Mormorano, Moschiena, Muggia, Neresine, Nesazio, Novacco di Montona, Novacco di Pisino, Occisla, Orsera, Ossero, Parenzo, Passo, Paugnano, Pedena, Petrovia, Piemonte, Pietrapelosa, Pinguente-Rozzo-Sovignacco, Pirano, Pisino, Pola, Portole, Portorose, Pregara, Promontore, Raccotole, Radini, Rovigno, Rozzo, Salise, Salvore, San Lorenzo d'Albona, San Lorenzo del Pasenatico, San Lorenzo di Daila, San Pietro dè Nembi, San Pietro di Madrasso, San Pietro in Selve, San Servolo, Sansego, Santa Domenica di Visinada, Sanvincenti, Sarezzo, Sbandati, Schitazza, Sicciole, Sissano, Socerga, Sovignacco, Stridone, Strugnano, Toppolo, Torre di Parenzo, Tribano, Truscolo, Umago, Valdarsa, Valle del Risano, Valle dell'Ospo, Valle d'Istria, Valmorasa, Verteneglio, Vetta, Villa Gardossi, Villa Padova, Villa Treviso, Villanova del Quieto, Villanova di Parenzo, Visignano, Visinada "Norma Cossetto", Zumasco.